L’importanza di chiamarsi Oasis

L’importanza di chiamarsi Oasis.

O anche Blur, Verve, o Radiohead. L’importanza cioè di un “Nome” che da Band diventa Brand, diventa un marchio, un logo, che permette di dare una forza, una spinta commerciale che il singolo cantante o chitarrista, da solo, non riesce ad eguagliare. Non si tratta solo della mancanza del contributo artistico degli altri componenti della band, ma è proprio la perdita di "valore commerciale" una volta che si abbandona l'icona con la quale veniva associata la musica pubblicata.

Quanti sanno che da pochi mesi è uscito il lavoro solista di Damon Albarn? Quanti hanno ascoltato le opere soliste di Thom Yorke? Quante sono state le vendite del cd di Noel Gallagher rispetto all’ultimo che aveva fatto con gli Oasis? Perché i Verve nel 2008 erano il gruppo principale di Glastonbury, il più importante festival musicale britannico, e due anni dopo Richard Ashcroft, da solo, fa un tour in piccole location inglesi?

È la forza della band, del marchio, che va oltre i singoli componenti, e che magari possono uscire, entrare, cambiare, ma quest'icona riesce spesso, già da sola, a mantenere la spinta commerciale del gruppo.

Una forza già riscontrata anni fa: quante canzoni dei Beatles conosciamo? E quante invece dei lavori solisti di John Lennon e Paul McCartney? Chi non ha mai sentito un album dei Pink Floyd? E chi invece almeno uno di Richard Waters o David Gilmour?

E se Bono o Chris Martin facessero oggi un album solista, che risonanza avrebbero?

Forden

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